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Prima davanti alla Commissione per l’Energia e il Commercio del Senato, poi innanzi a quella della Camera dei Rappresentanti, Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, si è presentato il 10 e l’11 aprile per le audizioni - durate 5 ore ciascuna - sul caso Cambridge Analytica, scoppiato nel marzo del 2018 dopo le inchieste e gli articoli del The Guardian e del New York Times.

Lo scandalo e il clamore mediatico ruotano intorno a due questioni:

  • Il rispetto della privacy degli utenti;
  • Le interferenze della Russia nella campagna elettorale per le elezioni del presidente americano.

Per quanto riguarda la prima, si è fatto riferimento anche al GDPR, il Regolamento sulla protezione dei dati per gli Stati membri dell’Unione Europea in vigore dal prossimo 22 maggio 2018, che Facebook è tenuto a rispettare. Zuckerberg ha chiarito che esso non verrà applicato solo in Europa: tutte le regole di Facebook verranno modificate in base alle linee-guida del GDPR, per tutelare la privacy di tutti gli utenti.

Cambridge Analytica e i soggetti coinvolti: la vicenda

Le indagini, tutt’ora in corso, si concentrano su Cambridge Analytica, società di consulenza che, mediante la raccolta e l’analisi dei dati, crea profili dettagliati per ogni utente, con un metodo simile a quello adottato dalla psicometria. Sulla base dei profili, vengono poi elaborate strategie di comunicazione e di marketing, applicabili anche alle campagne elettorali.

Sarebbero circa 87 milioni i soggetti coinvolti, tutti utenti iscritti a Facebook, i cui dati personali sono stati diffusi in seguito all’utilizzo dell’App “Thisisyourdigitallife”, che li ha poi trasmessi alla società, legata alla destra politica, considerata coinvolta nelle elezioni del Presidente degli Stati Uniti e nel referendum per Brexit nel Regno Unito.

Il campanello d’allarme scatta non per il fatto che l’App sia entrata in possesso di queste informazioni, poiché fino al 2014 le regole di Facebook ne consentivano l’acquisizione, ma nel momento in cui sono state condivise con Cambridge Analytica.

Questo passaggio ha segnato la violazione dei termini d’uso di Facebook, perché le norme sulla tutela della privacy vietano ai proprietari di App di condividere con terzi i dati raccolti sugli utenti. La conseguenza è stata la sospensione degli account di Cambridge Analytica.

 

Le risposte e i provvedimenti adottati dal founder di Facebook

Zuckerberg si è preso le responsabilità e, scusandosi davanti al Congresso, ha ammesso gli errori compiuti da Facebook negli anni, perché non sono stati presi in considerazione tutti i risvolti possibili, violazioni comprese.

Inoltre, il CEO di Facebook ha affermato che un team di 15.000 dipendenti è all’opera per andare in fondo alla questione e verificare tutte le violazioni. In particolare, gli studi e le attività disposte dal founder riguardano:

  • Quanto e come il social network è soggetto a infiltrazioni e oggetto di manipolazioni per fini politici;
  • L’analisi dei profili e della protezione della privacy;
  • La trasparenza da parte degli inserzionisti.

Lo scandalo è stato terreno fertile per evidenziare tutti i rischi - in termini di privacy - che l’utilizzo di Facebook comporta. Infatti è questo il tema su cui hanno incalzato deputati e senatori della Commissione con le loro domande. È evidente che le lacune a livello legislativo non aiutano, perché sarebbero necessarie nuove leggi (soprattutto in America).

Al tempo stesso, però, i quesiti posti dai membri del Congresso hanno mostrato la loro scarsa conoscenza del social network e di Internet.

Le funzionalità di Facebook permettono a ogni utente di impostare il livello di privacy del proprio account, ma ciò che spesso si riscontra è una generale disattenzione da parte dell’user, che utilizza poco il controllo a sua disposizione.

Zuckerberg si è mostrato assolutamente a favore di una regolamentazione chiara e con quanto prevede il GDPR, che da la possibilità agli utenti di controllare quali dati condividono, di gestirne l’utilizzo e di cancellarli.

Inoltre, è stato messo in evidenza l’impegno mostrato dalla piattaforma nel combattere le fake news, la manipolazione di informazioni per fini politici (come le elezioni) e la proliferazione di contenuti che inneggiano all’odio. Man mano che le esigenze si fanno avanti, Facebook lavorerà per aggiornare le condizioni d’uso e prevedere sistemi in grado di supervisionare e controllarne in modo rigoroso il rispetto (per esempio, gli strumenti di intelligenza artificiale). In sintesi è stato questo il leitmotiv delle audizioni.

Chi non ha mai sentito parlare di User Experience? Il primo a discuterne fu l’americano Donald Norman, ingegnere e psicologo, che coniò il termine negli anni ‘90. 

La User Experience, comunemente chiamata UX, nel suo significato letterale rimanda al concetto di esperienza dell’utente quando naviga sul sito web. Se vogliamo dare un’interpretazione più completa, parleremo di UX ogni qual volta faremo riferimento al livello di qualità che l'utente sperimenta online, cliccando sul menù a tendina, individuando più o meno facilmente l’argomento di suo interesse, apprezzando l’aspetto grafico del sito.

Migliore sarà la sua esperienza sul portale, maggiori saranno le possibilità che egli prosegua la navigazione per un tempo relativamente lungo e/o che vi ritorni con piacere. In termini tecnici, ciò che diminuisce è la cosiddetta "Frequenza di rimbalzo".

L’esperienza di navigazione deriva, a sua volta, dall’interazione dell’utente sul sito, che rappresenta l’azienda in prima persona. Il momento in cui l’user atterra e naviga sul web site rappresenta il primo punto di contatto con l’azienda e i servizi/prodotti da essa forniti. È semplice dedurne l’importanza perché, soprattutto online, la prima impressione è quella che conta.

Una volta compreso cosa si intende per User Experience, vediamo quali sono i fattori che influenzano la User Journey, cioè il percorso tra le varie pagine del sito, della sezione blog, dell’e-commerce.

È opportuna una precisazione che riguarda l’utente. Tutto il web marketing ruota intorno alla ricerca dei suoi bisogni, che anche in tal caso sono i protagonisti assoluti. Perché? Una volta individuate le esigenze dei vostri destinatari, risulterà più facile capire qual è la modalità migliore per presentargli il vostro prodotto, mostrarne l’utilità - se non addirittura la necessità - e far sì che si sentano soddisfatti.

A livello di UX, tale presentazione va condotta attraverso le pagine web del sito, che fanno da “vetrina” e che, di conseguenza, devono rispondere nel modo più efficiente possibile ai bisogni dell’utente. Tenendo sempre come punto di riferimento il contesto, che aiuta a soddisfare le aspettative delle buyer personas.

A questo punto, possiamo individuare alcuni fattori responsabili di una buona esperienza di navigazione, alla quale pervenire curando sia aspetti tecnici che aspetti relativi al lato emozionale:

  • L’Utility, cioè l’insieme di dati, informazioni e contenuti ritenuti utili per chi naviga. Lo scopo è che si trovi esattamente ciò che si sta cercando. Più alta sarà la corrispondenza tra la ricerca effettuata e il risultato, più elevato sarà il grado di utility percepito.
  • L’Accessibility, data dal corretto funzionamento del portale e delle relative pagine, che devono essere fruibili per ogni tipo di utente. Contenuti interessanti e una grafica piacevole all’occhio potrebbero essere penalizzati da tempi di risposta eccessivamente lunghi del server.

Il grado di accessibilità è collegato a quello di responsività, cioè l’attitudine tecnica del portale sviluppato di essere in grado di adattarsi a qualsiasi dispositivo (computer, tablet, cellulari, ecc..).

  • Il Design, dal momento che un sito ben strutturato a livello grafico, con un’interfaccia accattivante e pulsanti facili da individuare, costituisce uno dei motivi principali che inducono l’utente a reputare facile e intuitiva l’esperienza d’uso online. A riprova del fatto che l’occhio vuole la sua parte e che gli elementi visuali hanno un ruolo importante.

Va da sé che lo UX Design (o UXD) incide anche sulla Brand Awareness.

Per concludere, se l’interazione tra utente e sito filerà liscia come dovrebbe, a beneficiarne sarà la cosiddetta Usability, cioè l’efficienza della piattaforma, la facilità di utilizzo e, infine, il grado di soddisfazione.

In tal caso, raddoppiano le possibilità che l’utente, potenzialmente interessato ai prodotti/servizi, salvi il vostro sito nella lista dei preferiti da consultare periodicamente. Ancora una volta, tutto ciò si traduce in un aumento di traffico organico qualificato e di conversioni.

L’ultimo decennio ha visto l’Italia sempre più interessata e talvolta anche protagonista di eventi dedicati alla comunicazione e a tutti i temi correlati. Alcune città italiane sono state palcoscenico di convegni, seminari e workshop con speaker internazionali dove protagonista indiscusso è il marketing.

Se vi siete persi qualche appuntamento, di seguito potete trovare i prossimi da aggiungere al calendario.

Proprio in questi giorni, da oggi fino al 13 aprile, si svolge a Jesi il Brand Festival. Sette giorni di confronto sulle strategie di Branding: si va dal Personal Branding al Brand Territoriale, passando per l’Identità di Marca. Il concept dell’evento è completato da tre attività:

  • Un contest tra i progetti di brand delle aziende marchigiane, chiamato Glocal Brand Awards.
  • Agenzie Aperte (dal 16 al 21 aprile), per favorire momenti di networking e mostrare come lavorano le realtà professionali della zona.
  • Aperitivi con i guru, per conoscere in prima persona chi del marketing ne ha fatto prima oggetto di studio e poi un’occupazione a tempo pieno. Chi meglio di loro può darti consigli preziosi per il tuo business?

Si parla sempre più spesso di Neuromarketing, per sottolineare il legame tra il marketing e le discipline neuro-scientifiche e i riflessi positivi sul business. Milano per la terza volta gli dedica un evento: Certamente 2018 è previsto per il 10-11 maggio. Nell’arco dei due giorni si susseguiranno 11 speaker e 2 tavole rotonde con ricercatori ed esperti di marketing, psicologi e agenzie che condivideranno la loro esperienza e spiegheranno come potenziare il proprio business.

A giugno a Rimini si terrà il Web Marketing Festival, per il sesto anno consecutivo. Le date sono 21, 22 e 23 giugno 2018. Si tratta di 50 eventi in uno, perché nei 3 giorni saliranno sul palco del Palacongressi più di 400 speaker e ospiti. Tra i macro-temi di indubbia attualità che saranno trattati: Blockchain, Big Data, Social Advertising, Professioni Digitali, Coding e molti altri.  

Dopo il successo dell’anno precedente, che ha registrato più di 1.170 partecipanti, Eleonora Rocca è già al lavoro per organizzare la quinta edizione del Mashable Social Media Day, in programma il 18, 19 e 20 ottobre 2018 a Milano, presso IULM Open Space. Un’occasione di networking, un approfondimento su case study, una possibilità di aggiornamento sui trend del settore, un momento di formazione. Questo e molto altro è quello che ti garantisce la partecipazione al Mashable e ai Digital Innovation Days, come ambassador, presentatore, relatore o tra il pubblico.

Si chiama Web Marketing Business Summit, è giunto alla sua terza edizione ed è prevista per il 29 e 30 novembre a Milano. Due giornate piene, dove teoria e pratica si fondono, perché si passa dalle strategie agli esempi concreti. I temi - trattati anche da relatori internazionali - saranno SEO e Social Media Marketing, Coaching, Diritto della Rete, Growth Hacking, Content Marketing, E-commerce e ADV. Sono 600 i biglietti per i fortunati che vorranno approfittare della full immersion per aumentare le proprie competenze, conoscere nel dettaglio le strategie di marketing e mettersi in contatto con aziende e startup.

Correva l’anno 2010 quando fu rilasciata la prima versione di Instagram, il social network acquisito da Facebook per 1 miliardo di dollari due anni dopo, nel 2012, momento che ne ha segnato l’ascesa. Infatti, nel giro di pochi anni, il colosso del valore attuale di 35 miliardi di dollari ha toccato quota 500 milioni di utenti registrati.

L’applicazione di fotografia è stata sviluppata da Kevin Systrom e Mike Krieger e da quel fatidico 6 ottobre 2010 ne è stata fatta di strada. In termini di “user-base”, si è assistito a una crescita esponenziale: l’anno dopo il rilascio gli utenti attivi mensilmente erano 5 milioni, per poi divenire 400 milioni dopo 5 anni; oggi il famoso social ne conta 700 milioni in tutto il mondo e circa 14 milioni in Italia.

Un’ulteriore impennata è stata registrata con l’introduzione delle “Stories” nell’agosto del 2016, che ad oggi superano i 250 milioni di utenti giornalieri nel mondo. Non manca chi ha sollevato il dubbio che esse fossero state copiate da Snapchat, che ha gradualmente perso parte dei suoi utenti attivi.

Uno dei sintomi dell’elevato grado di apprezzamento di Instagram tra gli utenti è la sua frequenza di utilizzo, che lo pone soltanto secondo rispetto a Facebook. Infatti, il 49% degli utenti naviga e pubblica su Ig quotidianamente, mentre il 24% lo utilizza comunque ogni settimana. Per avere un’idea più precisa della differenza rispetto a Facebook, le percentuali sono pari al 71% per l’uso quotidiano e del 17% per quello settimanale.

Gli esperti del settore che hanno indagato sulle cause di questa ascesa, tanto rapida quanto costante negli anni, sottolineano l’importanza del suscitare sentiment. Questa capacità di stimolare l’emotività dell’utente, di emozionarlo, è uno dei motivi per cui Ig ha raggiunto il livello attuale di interazioneDi conseguenza, l’App di foto-ritocco è anche considerata un ottimo canale per la promozione del brand e, non a caso, risulta essere oggi il canale di comunicazione migliore per l’influencer marketing.

Sono evidenti i risvolti positivi se se ne ipotizza un uso legato anche al business. Infatti, Instagram garantisce un tasso di engagement molto elevato, cioè mostra ottimi risultati quando si tratta di coinvolgere l’utente, di instaurare un legame quanto più stabile e duraturo possibile.

Infine, visto e considerato che, statistiche alla mano, chi naviga sul web tende a prediligere contenuti visuali e non solo testuali, Instagram risponde perfettamente a questa esigenza, dal momento che pone in primo piano le immagini e i video e, a partire da esse, genera interazioni. Come conferma dell’importanza di tenere come punto di riferimento il target a cui indirizzare il proprio messaggio.

Il web è un enorme contenitore dove puoi trovare ogni informazione. Al tempo stesso funge da vetrina: ciò che va online è soggetto al giudizio del pubblico. Questa è la sorte delle varie campagne pubblicitarie che si susseguono mese dopo mese nei media, dalla tv allo sconfinato mondo di Internet.

A volte si vince, altre si perde. Vediamo di seguito quali sono stati l'Epic Win e l'Epic Fail più visti, rivisti, apprezzati e criticati degli ultimi mesi, e scopriamone insieme il perchè.

La polemica dietro la campagna pubblicitaria di Pandora

Partiamo dalla pubblicità di Pandora apparsa durante il periodo natalizio, che ha sollevato una valanga di critiche e attirato l’attenzione di migliaia di utenti, diventando virale. La frase incriminata era Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?

Migliaia i post sul web che, con l’immancabile hashtag #EpicFail, parlavano di misoginia e criticavano tutti gli stereotipi che la pubblicità esprimeva.

La situazione non migliorò quando Pandora rispose alla polemica che impazzava sul web e non, nel tentativo di sedarla. L'azienda danese ha parlato di “fraintendimento” e ha precisato che lo scopo della campagna era piuttosto evitare che le donne ricevessero il regalo sbagliato (come, appunto, un ferro da stiro o un grembiule).

Eppure non è mancato chi, tra gli utenti comuni e tra gli esperti di marketing, ha “difeso” la campagna pubblicitaria. Ad esempio, tra le fila dei sostenitori, veniva sottolineato che bisognava intendere il concetto all’interno del contesto di riferimento. 

Arriva puntuale il competitor Cartier che, approfittandone, ha replicato “E poi ragazze diciamocelo: se vi ama davvero vi regala un Cartier, non un Pandora”.

Spot Buondì Motta: originale o esagerato?

Nel tentativo di essere originali, talvolta si tende ad esagerare - hanno commentato alcuni. Una pubblicità innovativa e geniale - hanno ribattuto altri. Alla fine la maggioranza degli utenti ha comunque apprezzato l’idea promossa da casa Motta, che con il suo spot pubblicitario sul Buondì ha catturato l’attenzione di tutta l’Italia, sia di coloro che la criticavano perché la riteneva lesiva dell’idea di famiglia, sia di coloro che l’hanno apprezzata. Il motivo?

Il mondo del marketing va spesso a braccetto con le neuroscienze. In che senso? Stimolare l’aspetto emozionale, mediante la tecnica dello Storytelling, attiva nel cervello dei circuiti cerebrali che conducono verso una maggiore propensione all'acquisto. È proprio questo che fa la pubblicità del Buondì Motta.

Nel campo del neuromarketing, si parla di “arousal”, termine che fa riferimento alla risposta generata dal nostro sistema nervoso, che diventa attivo e reattivo di fronte a un evento, un contenuto, un’immagine, in grado di stimolare la nostra attenzione. In più, l'effetto sorpresa attiva i meccanismi di attenzione e memorizzazione.

Il gioco è fatto: lo spot pubblicitario Motta di settembre 2017, poi riproposto con la puntata finale a marzo 2018, si è guadagnato un posto tra gli Epic Win degli ultimi tempi. 

In ogni caso, entrambe le aziende hanno ricevuto un’ondata di interazioni, attirato l’attenzione del proprio target di riferimento e sono state protagoniste delle conversazioni online e offline. Se lo scopo della pubblicità è che se ne parli, in un modo o nell’altro l’obiettivo è stato sicuramente raggiunto.

AIL - Associazione Italiana contro le leucemie, linfomi e mieloma, traina da ben 49 anni la ricerca scientifica per la cura di leucemie e altre malattie del sangue grazie a un network consolidato composto da volontari, donatori, medici e 81 Sezioni Provinciali, distribuite su tutto il territorio nazionale. Si è rivelata preziosa sia la partnership con l’Istituto italiano della Donazione, sia il sostegno del GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto), fondato da Franco Mandelli, medico ematologo presidente dell'AIL dal 2004.

L'Associazione ha fatto dell’assistenza al paziente e alle relative famiglie uno dei connotati fondamentali della sua missionLe ricerche, gli studi e gli esperimenti condotti, insieme agli altrettanti progressi nel campo della medicina, proseguono grazie alla costante raccolta di fondi di cui si occupa AIL, con un metodo che pone al primo posto la trasparenza nella gestione.

AIL ha capito che una presenza forte e incisiva online non è un elemento da sottovalutare e ha così deciso di intraprendere un percorso di digital transformation, teso a ottimizzare la comunicazione online secondo i principi della SEO e del digital marketing, applicati al settore della raccolta fondi.

Durante questo processo, Go Project - dopo aver collaborato con AIL a partire dallo scorso 2017 - ne è poi divenuta partner unico per l’anno 2018. Dalle campagne di paid advertising all’aumento del traffico organico qualificato, vediamo quali attività digitali sono state portate avanti. Gli scopi sono stati sensibilizzare sulla donazione del sangue e attrarre un nuovo target verso i temi dell’Associazione. È stato scelto Facebook come canale di comunicazione privilegiato, con la gestione della pagina AIL Associazione Italiana contro le Leucemie-linfomi e mieloma ONLUS.

I Progetti realizzati da Go Project per AIL sono:

- Diamo vita alla ricerca insieme.

- Uova in Cerca d'Autore.

- 5x1000.

La Pasqua del 2017 ha segnato il momento topico del Progetto “Diamo vita alla ricerca insieme”. Si tratta di una campagna di comunicazione promossa da Go Project per le Uova di Pasqua AIL, ideata per generare engagement. Stavolta il mezzo è stato la condivisione di foto da parte degli utenti donatori che, dopo l’acquisto dell’Uovo di Pasqua AIL, erano invitati a postarne la foto sulla piattaforma e condividerla sui propri profili social. Il Progetto ha contato la condivisione da parte di più di 1.000 utenti nel giro di pochissimi giorni con l’hashtag #UovaAil2017.

Dato il trend positivo del 2017, il Progetto è stato riproposto anche nel 2018: il weekend del 16, 17 e 18 marzo 2018 ha visto come protagonista le Uova di Pasqua AIL in 4.500 piazze di tutta Italia, dove migliaia di volontari hanno offerto le uova di cioccolato, in cambio di un contributo minimo associativo di 12 euro.

Anche quest’anno l’attività di promozione online è stata caratterizzata da un’attività di digital PR nel mondo del food: stiamo parlando del Progetto “Uova in Cerca d’Autore”.

Nella Pasqua del 2017 6 chef stellati si sono cimentati in ricette da realizzare con la cioccolata delle Uova AIL: Heinz Beck, Gabriel Bonci, Cristina Bowerman, Maurizio Santin, Giulio Terrinoni e Gian Luca Forino. Mentre nel 2018 sono stati 5 famosi pasticcieri italiani a pilotare l’iniziativa, con 5 ricette pensate appositamente per AIL e le sue Uova di Pasqua: Iginio Massari, Franco Aliberti, Gian Luca Forino, Maurizio Santin e Marco Radicioni. Non a caso uno degli hashtag di battaglia è stato proprio #UovaInCercadAutore.

Un altro obiettivo raggiunto da Go Project ha riguardato il 5x1000, progetto al quale si è tentato di dare un vero e proprio “volto umano”. In che modo è stato perseguito questo scopo? Le storie personali di pazienti, volontari e medici hanno conferito al progetto quel surplus di voci ed esperienze. Tutto ciò ne ha potenziato l’interazione sul web e, in genere, la partecipazione, sia online che offline. Per raggiungere questo risultato è stato chiesto agli utenti di fornire un loro contributo, raccontando il proprio percorso. A tal fine, è stato creato un apposito blog che facesse da contenitore sia delle storie di ognuno, che degli aspetti più tecnici riguardanti la raccolta del 5xmille.

I numeri mostrano che le attività digital gestite da Go Project per AIL hanno riscosso grande successo: sono stati creati nuovi contenuti, nuova linfa per gli utenti, mentre quelli già esistenti sono stati valorizzati; il sito web è stato ottimizzato in ottica SEO. Nel giro di un anno la visibilità di AIL sui social è aumentata: si registra un aumento del 78% nelle visualizzazioni della pagina Facebook e un incremento pari all’84% degli accessi sul sito www.ail.it (Fonte: Google Analytics).

Siamo felici di poter affiancare AIL nel processo di valorizzazione digital delle loro attività. – È così che commenta Gianfilippo Valentini, CEO Go Project Srl, il quale conclude precisando “Continueremo ad investire per fornire ai nostri clienti competenza e innovazione”.

Ogni strategia di comunicazione, per meritare questo appellativo, deve essere strutturata ad hoc tenendo conto di variabili, esigenze, obiettivi, mercato di riferimento, tempistiche e budget a disposizione. Fatta questa breve premessa, possiamo affermare che oggi nel web marketing ci si è resi conto che una strategia integrata su più canali porta con sé numerosi risvolti positivi, sia a livello di engagement che in termini di ROI.

Da quale elemento partire per elaborare una strategia di marketing personalizzata? Il primo dato da tenere sott’occhio è il target, cioè quali sono i destinatari ultimi a cui vuoi rivolgerti. A seconda della loro fascia d’età, dei loro interessi e - anche - del tipo di prodotto che vendi, un determinato canale digitale sarà più adatto rispetto ad un altro per raggiungere i risultati prefissati.

Il primo step da compiere è individuare le buyer personas, cioè i potenziali clienti. Dopo averne studiato gusti e preferenze, possiamo chiederci quali potrebbero essere le loro esigenze, così da essere in grado di soddisfarle.

Non sottovalutare il mercato di riferimento, perché è molto importante capire quali tipo di strumenti vengono utilizzati. Infatti, ogni mercato raggruppa categorie di utenti che si distinguono, oltre che per bisogni e necessità, anche per comportamenti.

Motivo per cui è indispensabile comprenderne le dinamiche sottese per individuare il giusto tiro e, nel caso di specie, il canale migliore per veicolare il messaggio.

Si scrive multi-channel marketing e si legge possibilità di conversioni. Cosa vuol dire? I trend mostrano quali sono i canali digitali più utilizzati (e apprezzati) dagli utenti: il sito web dell’azienda si posiziona al primo posto, seguito a sorpresa dalla tradizionale email (parliamo di email marketing) e dai social media.

Puntando il focus sui canali social, che spesso rappresentano la chiave di volta per la lead generation, le interazioni risultano maggiori su Facebook e Instagram, mentre Twitter registra un ulteriore calo degli utenti registrati e attivi.

Tenendo sempre bene a mente che ogni canale di comunicazione adotta un linguaggio diverso, l’utilizzo di più canali contemporaneamente può tradursi in più engagement e, quindi, più conversioni.

In una prospettiva a lungo termine, la scelta di determinati canali può (e talvolta deve) essere ricalibrata non appena ci si rende conto, al momento di analizzare i risultati, che un determinato strumento ha ottenuto migliori risultati. È un’attività dinamica, dove la possibilità (infinita) di modifiche costituisce un pro che permette di sperimentare, analizzare e, se necessario, aggiustare il tiro.

Nell’universo del marketing esistono una serie di termini che vengono costantemente presi in considerazione in ogni azienda. Tra i tanti, un posto di spicco occupa sicuramente il concetto di Brand Awareness aziendale. Vediamo insieme cos’è la Brand Awareness e come svilupparla.

Immaginiamo un parametro che misuri la conoscenza del nostro marchio tra il pubblico dei consumatori, tutti potenziali acquirenti del prodotto/servizio che vendiamo. L’awareness di un’azienda è la consapevolezza del brand, cioè se le persone lo conoscono, lo acquistano e lo apprezzano, venendo qui in considerazione anche il concetto di Brand Reputation, a esso collegato, che vedremo in seguito.

Fin qui, può sembrare tutto abbastanza semplice e lineare. Ma la notorietà del marchio deve essere creata ab initio. Come sviluppare la brand awareness dell’azienda? 

Una buona consapevolezza del brand passa anche attraverso quella che gli esperti del digital chiamano Brand Identity, cioè l’identità del marchio, il messaggio che esso veicola e suggerisce al consumatore.

In secondo luogo, è molto importante che l’utente, nel momento in cui atterra sul sito web e sulla sezione del blog aziendale, riesca facilmente a trovare ciò che cerca. In una parola, è necessario fornire all’utente una buona esperienza di navigazione, che in termini tecnici viene chiamata user experience

Un ingrediente principale che contribuisce in buona percentuale a formare la brand awareness è dato dalla presenza dell’azienda sui social media. Difatti, quanti di voi sono soliti cliccare sulle ricerche di Facebook per avere maggiori informazioni sul locale incrociato per strada o sull’attività di cui gli ha parlato l’amico?

Inoltre, una pagina social aggiornata (che sia Facebook, Instagram, Pinterest o diverse piattaforme insieme) è una vetrina che contribuisce a formare l’opinione soggettiva che il potenziale cliente ha di te e della tua azienda, oltre ad aiutarti ad entrare in contatto con chi potrebbe essere interessato ai tuoi prodotti e/o servizi. E a questo punto viene in considerazione anche il concetto di Brand Reputation, che consiste nel grado di affidabilità che il tuo marchio possiede, la quale viene influenzata da parametri come la tua capacità di gestire la comunicazione col cliente, fornire quanto richiesto e - ultimo ma non per importanza - farlo in tempi abbastanza brevi, valutata in termini di “reattività ai messaggi”.

La Brand Awareness, una volta sviluppata, va costantemente migliorata. In questa fase un ottimo strumento è rappresentato dalle campagne pubblicitarie, sia su Facebook che via Google Adwords, le quali possono incrementare il traffico al tuo sito e, conseguentemente, le possibilità che gli utenti - navigando - abbiano un’esperienza positiva e siano interessati al tuo prodotto.

L’ideale sarebbe che il consumatore, nel momento in cui realizza il bisogno di un determinato prodotto, pensi direttamente al tuo brand, piuttosto che a quello dei tuoi competitor. In tal caso, la strategia aziendale adottata mostra i suoi frutti, perché vuol dire che si è tradotta in vendite e fatturato. Quindi, a conti fatti, le implicazioni pratiche di una buona brand awareness si riflettono in termini di guadagni.

La maglia è l'elemento maggiormente significativo nel calcio: va indossata, rispettata e amata. La maglia rimarrà sempre il primo amore nel cuore di un giocatore, anche se questi si cedono e si comprano o i loghi si ridisegnano. La prima maglia rispetta i colori sociali e la tradizione del club. Solo sulla casacca indossata nelle trasferte gli sponsor tecnici hanno libertà di azione. Solo da qualche anno si è obbligati a produrre una terza maglia, se non di più, basti pensare al Napoli che in questa stagione ne ha presentate quattro e gli anni passati sei, considerando le "Champions edition".

Le analisi di Calcio e Finanza hanno rilevato che il campionato italiano si regge sui diritti TV, per circa il 50% dei ricavati totali delle squadre. Il resto è rappresentato dalla somma delle plusvalenze, dai ricavi dello stadio e merchandising. Quest'ultimo aspetto è il punto debole dei bilanci della Serie A. La Juventus sfiora circa il 20% alla voce merchandising in bilancio, specie ora che ha cambiato logo. Real Madrid, Barcellona, Bayer Monaco, Manchester United e PSG superano tutte il 50% ala voce merchandising in bilancio. Entriamo più nello specifico: alcune squadre, come il Real e la Barça hanno eliminato le croci dai loro loghi sul merchandising venduto in Medio Oriente per aumentare il proprio impatto sui mercati asiatici. E ancora: il PSG ha ridisegnato il logo eliminando la culla di Luigi XIV sotto la Torre Eiffel. Adidas è il marchio più potente nel calcio italiano. Fondata da Adolf Dasler (Adi-Das, fratello di Rudolf, fondatore della Puma), l'azienda tedesca, almeno fino a fine stagione, veste Juventus e Milan. Tra i calciatori che indossano le scarpette di questo marchio si ha: Quadrado, Nani, Dzeko e Pjanic. Sui social, l'Adidas conta circa 52.9 milioni di fan (31.7 su Facebook, 3.3 su Twitter, 17.4 su Instagram e 500.000 su YouTube).

Dopo l'azienda tedesca abbiamo la Nike, brand nato nel 1967 da un'idea dell'allenatore di football dell’università dell’Oregon che chiamò con il nome della dea della vittoria un'azienda che dal Giappone importava delle scarpe. Oggi questo brand è sponsor di Inter, Roma ed Hellas Verona. E non solo: è anche fornitore del pallone ufficiale del nostro campionato. Il logo dello "Swoosh" conta circa solo 112.7 milioni di fan sui social (29.4 su Facebook, 7.3 su Twitter, 75.3 su Instagram e 700.000 su YouTube). Quali sono i giocatori che indossano le scarpe di questo noto brand, le scarpe con il "baffo"? Icardi, El Shaarawy ed Higuain. Una curiosità: Marchisio indossa da una vita le Nike, ma sul braccio ha tatuato lo slogan dell'Adidas "impossible is nothing".

Un'altra realtà affermata è Macron che veste i rossoblù dai tempi di Beppe Signori, ma anche Cagliari, Lazio e Spal. La casa di Bologna è inoltre il logo più presente sulle maglie della Serie A e da poco si è accordata per vestire le "piccole" nazionali affiliate alle Uefa (Andorra, Armenia, Bielorussia, Cipro, Isole Faroer, Liechtenstein, Lussemburgo e San Marino). I fan sui social per Macron sono 185.300 (146.000 su Facebook, 19.200 su Twitter, 19.200 su Instagram e 500 su YouTube).

Vediamo altre squadre, come Napoli, Sassuolo e Torino che invece vestono Kappa, azienda torinese che conta circa 750.000 utenti (510.000 su Facebook, 3.000 su Twitter e 237.000 su Instagram). Tramite le squadre, il brand guadagna maggiore visibilità: 6 milioni dal Napoli, 950.000 dal Torino e 570.000 dal Sassuolo.

Il brand spagnolo Joma veste invece due squadre, la Sampdoria e l'Atalanta. La particolarità di Joma è che personalizza con ricami l'interno delle maglie. Nella casacca dell'Atalanta vediamo scritto, infatti "La maglia sudata sempre", mentre in quella della Sampdoria "La maglia più bella del mondo". L'azienda conta 1 milione di fan totali. In Italia, nessun calciatore indossa materiale tecnico Joma.

Gli altri brand? Gli altri brand presenti nel campionato italiano vestono un solo club. Vediamoli da vicino. LeCoqSportif firma le divise della Fiorentina. Poi abbiamo il brand HS Sport che veste l'Udinese. Il Genoa è vestito da Lotto e sulle maglie scrive "Il club più antico d'Italia". Le divise al Crotone vengono fornite dal brand Zeus che indossa la stessa prima maglia dell'anno in cui ha avuto la promozione dalla Serie B alla Serie A. Il Benevento invece veste Frankie Garage che garantisce una visibilità alla squadra di circa 90.000 utenti.

Dati tratti da Social Media Soccer

Sia che tu sia un'azienda, un freelance, o semplicemente un appassionato di social, sai quanto sia importante curare la propria immagine digital per ottenere successo. Un ottimo modo per perfezionare la propria identità sul web e allo stesso tempo attrarre più utenti, è quello di organizzare un piano editoriale per Facebook. Vediamo nel dettaglio cos'è e come realizzarne uno efficace.

Il piano editoriale è un documento composto da articoli e contenuti vari da pubblicare sulla propria pagina Facebook, redatto secondo una determinata strategia per raggiungere un determinato obiettivo prefissato all'inizio. Utile è analizzare la strategia adottata dai propri competitor che generano un traffico importante con i loro contenuti. Importante è soprattutto tenere a mente i valori e la mission della propria azienda così da lavorare su un tipo di comunicazione che li faccia emergere.

Per un piano editoriale efficiente bisogna capire quale pubblico vi segue. È necessario quindi analizzare gli Insights di Facebook che mostrano i dati relativi al pubblico di destinazione. Questo permette di creare inserzioni sempre più pertinenti. Per la stessa ragione ci si può avvalere di tool come Google Analytics che permette di analizzare vari aspetti del vostro sito web, tra cui il target di chi vi legge, aiutandovi a realizzare un piano editoriale ad hoc. È importante pubblicare con una cerca costanza affinché il traffico sul vostro sito non venga perso. I social media rappresentano per questo una buona opportunità per aumentare il traffico, recuperare lead e fidelizzare il cliente.

È bene che i contenuti per il vostro piano editoriale siano vari, così da mantenere sempre attiva l'attenzione e la curiosità dell'utente. Si possono inserire link ad articoli presenti nel vostro blog aziendale, oppure social card con frasi che riprendono la mission della vostra attività. Secondo i trend, i contenuti particolarmente apprezzati e condivisi sono quelli visual, per cui se puntate su questi non sbaglierete affatto.

Accanto al piano editoriale è importante pensare anche a un calendario editoriale. Ci si può confondere credendo che siano sinonimi, in realtà il piano editoriale è un documento che rappresenta i contenuti che andranno a popolare i vostri social, mentre il calendario editoriale contiene il giorno e l'ora in cui si è stabilito di pubblicare.

Pensare al proprio piano editoriale e al calendario per la settimana o per il mese è di fondamentale importanza. Non bisogna però dimenticare di analizzare i risultati ottenuti da una determinata strategia adottata, perché qualora questa non dovesse portare benefici, è bene provarne un'altra fino a che non si raggiunge l'obiettivo prefisso.

Quanto incide la conoscenza dei meccanismi del nostro cervello sul e nel marketing? Abbastanza da vedere la comparsa, ormai non troppo recente, di una disciplina nota come neuromarketing. Nata nel 2002 grazie a un professore di Marketing Research della Rotterdam School of Management, Ale Smidts, la disciplina del neuromarketing analizza il meccanismo cerebrale per comprendere il comportamento del consumatore. Il fine? Migliorare le strategie di marketing.

Al centro dell'attenzione del neuromarketing non può che esserci lo stato d'animo che caratterizza la persona quando è posta di fronte ad uno stimolo esterno: le emozioni. Nel dettaglio: dopo l'input esterno, l'individuo ha una reazione emotiva comprendente tre elementi:

  • la risposta psicologica, che si manifesta nell'espressione verbale;
  • la risposta comportamentale, che si riferisce all'azione che esegue;
  • il cambiamento fisiologico, ovvero la variazione dell'attività del cervello che fa comprendere quali zone celebrali si attivano di fronte un determinato stimolo.
È il terzo elemento, il cambiamento fisiologico, quello al centro delle analisi del neuromarketing. Ciò che infatti fa questa particolare branca delle neuroscienze, non è solo individuare quali aree celebrali dell'individuo si attivino di fronte un determinato stimolo, ma anche elaborare modelli di ricerca indiretti che forniscono delle informazioni sul pensiero dei consumatori rispetto a un prodotto. Ad esempio, una ricerca dal titolo "I siti fraudolenti visti con gli occhi dei consumatori", svolta dal team della TSW Experience Lab ha dimostrato come molti utenti inesperti, tendevano ad acquistare degli articoli online su siti non autorizzati. Nello specifico sono stati registrati, attraverso la tecnica dell'eye-tracking, i movimenti oculari per individuare il modo di pensare dei partecipanti fino all'acquisto. In questo modo sono state evidenziate quali parti della pagina web attirassero maggiormente l'utente e quali fossero ritenute meno importanti. Ciò che è stato evidenziato è che ciò che influenza molto più l'utente è l'aspetto estetico e l'usabilità del sito, piuttosto della correttezza dell'URL, con il risultato di cadere spesso in siti fraudolenti.

Cosa c'entra tutto questo con il marketing? È abbastanza evidente: comprendere come l'individuo si pone di fronte un determinato stimolo, permette di comprendere cosa piaccia o meno al consumatore, in questo senso si vede il convergere di campi quali la psicologia e l'economia per comprendere come il cervello risponda alle strategie di marketing, ma anche ai messaggi pubblicitari. La conseguenza è che in questo modo si riuscirà a rispondere in modo più esaustivo alle necessità dei propri clienti, facendo del neuromarketing uno strumento per le aziende. Il motivo? Quanto più l'azienda riuscirà ad attivare i sensi dell'utente, potenziale acquirente, tanto più sarà possibile concludere la transazione. Ma non solo: associare al proprio brand una determinata esperienza sensoriale, ovviamente positiva, è un buon modo per fidelizzare la clientela.

LinkedIn è un ottimo strumento per sponsorizzare il proprio personal branding, e in un precedente articolo si è visto come poter aumentare i collegamenti grazie a piccoli accorgimenti.
Ora affrontiamo un altro argomento che vede il social LinkedIn al centro, ma questa volta dal punto di vista delle aziende. LinkedIn, specialmente negli ultimi anni, è diventato particolarmente interessante per i profili commerciali offrendo alle aziende svariate opportunità di business. Le piccole imprese hanno la possibilità, attraverso questo social, di ricercare nuovi clienti.
A questo proposito torna utile il Sales Navigator. Utile per chi svolge attività commerciali, il Sales Navigator consente di trovare potenziali clienti, ottenere informazioni per approcciarli nel momento giusto e costruire delle relazioni fidate. In una parola questo strumento consente alle imprese di fare social selling. Ma cos'è il social selling?

Se inizialmente i social sono nati come intrattenimento, ora si stanno sempre di più trasformando in strumenti per fare business. Più particolare è il social selling index (SSI), lo strumento che LinkedIn mette a disposizione per l'utente che permette di valutare l'efficacia dell'utilizzo del proprio profilo ed è uno strumento nato dalle analisi delle performance dei 5000 migliori profili sul social. L'SSI è un mero valore numerico - da 0 a 100 - che permette di valutare e monitorare la propria attività. Più il valore sarà alto più il nostro profilo è buono.

Arriviamo ora a un altro punto fondamentale del presente articolo: campagne e sponsorizzazioni su LinkedIn. Ci sono tre tipologie di campagna disponibili self service:

1) Annunci di testo: questi non solo molto efficaci dal punto di vista del CTR, inoltre rappresentano una vecchia concezione di advertising online, ma comunque permettono di arrivare al risultato. L'annuncio è composto da un titolo di 25 caratteri, un testo di 75 e un'immagine di massimo 2 MB. L'immagine permette di aumentare del 20% i clic sull'annuncio;

2) Contenuti sponsorizzati: lo sponsored content è il recente strumento di advertising introdotto da LinkedIn che va associato alla propria business page. Si hanno due opzioni: promuovere un aggiornamento presente sulla pagina o scriverne uno ad hoc, il cosiddetto direct sponsored content;

3) Messaggi InMail sponsorizzati: questo è uno strumento messo a disposizione da LinkedIn e sono messaggi privati più ricchi rispetti a quelli gratuiti che LinkedIn offre.

Insomma, per le aziende che vogliono farsi conoscere, LinkedIn è un valido strumento, ma non bisogna dimenticare che le sponsorizzazioni della propria pagina sono molto utili per non finire sconosciuti nel grande e dispersivo mondo virtuale.